
22 Apr Da Napolitano a Napolit’amo…
Posted at 00:00h
in Comunicati Stampa

Cronaca e riflessioni di una settimana romana
fatti noti ed ignoti
vissuti dal di dentro e senza veli
scritto lunedì 22 aprile 2013
ANTEFATTO STORICO
Nel Partito Democratico, quando si è posta la discussione sull’elezione del Presidente della Repubblica, all’unanimità in Direzione Nazionale si è dato mandato al Segretario Pierluigi Bersani e ai Capigruppo di Camera e Senato, di discutere con tutti i partiti rappresentati in Parlamento e di ricercare intese, attraverso la individuazione di un Presidente largamente condiviso.
Lo ricordo a chi non ha vissuto glia anni settanta, ottanta e novata: 1978 Sandro Pertini, 1985 Francesco Cossiga, 1992 Oscar Luigi Scalfato, 1999 Carlo Azeglio Ciampi sono tutti Presidenti della Repubblica eletti a larghissima maggioranza con scelta del nome condiviso tra maggioranza e minoranza. Addirittura nel 1999 il nome di Ciampi fu deciso da Veltroni, D’Alema, Berlusconi e Fini.
Nel 2006, io c’ero, non avvenne la stessa cosa per Giorgio Napolitano perché il centrodestra, con Berlusconi, non fu disponibile, ma si astenne dichiarando di poter convivere.
Perché tutto questo? Anzitutto perché la Costituzione repubblicana sostiene ‘giustamente’ che il Presidente della Repubblica rappresenta tutti gli italiani, poi perché un popolo non deve dividersi quando si tratta di scegliere il proprio Presidente. Dico questo con serenità sulla base dell’attuale Costituzione, che possiamo cambiare, ma finchè non lo facciamo, va rispettata…

Cronaca e riflessioni di una settimana romana
fatti noti ed ignoti
vissuti dal di dentro e senza veli
scritto lunedì 22 aprile 2013
ANTEFATTO STORICO
Nel Partito Democratico, quando si è posta la discussione sull’elezione del Presidente della Repubblica, all’unanimità in Direzione Nazionale si è dato mandato al Segretario Pierluigi Bersani e ai Capigruppo di Camera e Senato, di discutere con tutti i partiti rappresentati in Parlamento e di ricercare intese, attraverso la individuazione di un Presidente largamente condiviso.
Lo ricordo a chi non ha vissuto glia anni settanta, ottanta e novata: 1978 Sandro Pertini, 1985 Francesco Cossiga, 1992 Oscar Luigi Scalfato, 1999 Carlo Azeglio Ciampi sono tutti Presidenti della Repubblica eletti a larghissima maggioranza con scelta del nome condiviso tra maggioranza e minoranza. Addirittura nel 1999 il nome di Ciampi fu deciso da Veltroni, D’Alema, Berlusconi e Fini.
Nel 2006, io c’ero, non avvenne la stessa cosa per Giorgio Napolitano perché il centrodestra, con Berlusconi, non fu disponibile, ma si astenne dichiarando di poter convivere.
Perché tutto questo? Anzitutto perché la Costituzione repubblicana sostiene ‘giustamente’ che il Presidente della Repubblica rappresenta tutti gli italiani, poi perché un popolo non deve dividersi quando si tratta di scegliere il proprio Presidente. Dico questo con serenità sulla base dell’attuale Costituzione, che possiamo cambiare, ma finchè non lo facciamo, va rispettata.
MARTEDI 16 APRILE
Durante le discussioni tra i partiti sulla scelta del Presidente, il PD constata la totale indisponibilità di 5 Stelle a condividere un nome. Vogliono Stefano Rodotà e non intendono discutere, analogamente a quanto detto quando Bersani li ha invitati a costituire il Governo e si sono aprioristicamente rifiutati.
Il PD ha accettato anche la diretta streaming e tutti hanno potuto verificare di persona quanto dico.
Analogamente il PD, nell’incontro con Il Popolo della Libertà e la Lega , pone sul tavolo alcuni nomi, tutti prestigiosi, della storia del centrosinistra italiano.
Credo che l’ordine fosse questo: Sergio Mattarella, Anna Finocchiaro, Franco Marini, Romano Prodi e Massimo D’Alema.
Dico subito quello che penso.
Eleggiamo il Presidente della Repubblica. Le caratteristiche richieste non sono gli aspetti fisici, estetici o formali, ma conoscenza e capacità istituzionali, conoscenza dell’Italia e dell’Europa, senso dell’equilibrio, capacità e volontà di rappresentare tutti gli italiani. I nomi proposti, tutti cinque, indipendentemente dai gusti e dalle preferenze di ognuno di noi, sono parte e storia del centrosinistra e rappresentano le tradizioni culturali e politiche del Partito Democratico: quella del cattolicesimo-democratico, quella socialista e quella della sinistra storica.
FRANCO MARINI
D’intesa con il Centrodestra e la Lega , il PD sceglie Franco Marini, il lupo marsicano, uno dei fondatori del PD, già Presidente del Senato, segretario della CISL, rappresentante autorevolissimo del sindacato e del mondo del lavoro.
A me va benissimo. Lo conosco dagli anni novanta, quando espulso dalla DC per aver costituito la Giunta comunale di Terlizzi con me Sindaco, con PDS, PSI e PSDI ed una parte minoritaria della DC in minoranza, fui accolto da Marini a braccia aperte e difeso con convinzione.
Poi con Marini costituimmo il Partito Popolare quando Buttiglione intendeva portarci da Berlusconi. Con Marini sono diventato Segretario Provinciale del PPI di Bari prima e della Margherita dopo. Con Marini fui Segretario Regionale della Margherita Puglia e sempre con lui fondammo il Partito Democratico.
Ho avuto anche qualche scontro politico con Franco Marini che quando non era d’accordo era solito dire ‘mo vediamo e prendeva tempo per smussare asperità, per avvicinare posizioni diverse, per coniugare impeto giovanile e saggezza.
Franco Marini ha ottant’anni e nelle ultime elezioni politiche non è risultato eletto al Senato per un gesto di generosità. Era capolista in Abruzzo ed ha preferito scalare al secondo posto cedendo il suo posto all’ex Presidente della Provincia di L’Aquila, attuale senatrice Pezzopane, nome che ritornerà dopo in queste nostre riflessioni.
MERCOLEDI 17 APRIILE
Bersani convoca per mercoledì 17 aprile, alle ore 20, presso il Teatro Capranica, i grandi elettori PD, quattrocentrotrenta persone tra deputati, senatori e rappresentanti delle regioni. All’appello mancano una ottantina dei nostri, assenti non giustificati perché a questi appuntamenti non si manca mai.
Bersani spiega le ragioni della scelta e scatta un applauso non generale. Poi si passa alla discussione. Sono con noi anche i rappresentanti di SEL e quelli del Centro Democratico. Il dibattito registra posizioni diverse e contrastanti con appassionati interventi di Guglielmo Epifani e Stefano Fassina che dichiarano di votare convintamente per Marini, Nichy Vendola che spiega le ragioni per le quali si deve votare Rodotà ed altri interventi.
Quando si è costituita la coalizione Italia Bene Comune, nel programma si è scritto che le decisioni si assumono a maggioranza, infatti, appena si passa al voto, Nichy Vendola ed i rappresentanti di SEL si alzano e vanno via sancendo, alla prima occasione, la rottura del Centrosinistra.
Prima dell’inizio della discussione, su input di Maurizio Migliavacca, capo segreteria di Bersani, avvicino Nichy Vendola e sotto gli occhi di tutti abbiamo una discussione appassionata su Franco Marini che Nichy considera persona degnissima, ma dichiara di non votare perché ‘il popolo’ vuole Rodotà.
Gli faccio notare che il popolo è variegato ed articolato. Quando gli ricordo che se è vero che tutti in Teatro ci stanno vedendo, è anche vero che sta parlando con me e non può fingere perché gli leggo negli occhi i veri obiettivi, ammette. Non votiamo Napolitano perché lui vuole fare il Governo delle larghe intese e perché non possiamo lasciare a Grillo la piazza. E’ sincero, lo conosco da sempre.
Gli dico di non fare il solito errore della sinistra italiana, che si divide e lui, con occhi felici, mi ribatte che si prenderà mezzo PD per rilanciare l’idea di una sinistra alternativa. Poi aggiunge di aver pagato elettoralmente un grande prezzo, quando ha seguito Bersani che, a proposito della Presidenza della Repubblica, gli ha sempre parlato di cambiamento ed innovazione ed ora gli propone Marini.
Marini non è cambiamento ed innovazione dopo essere stato in Parlamento per 21 anni. Rodotà lo è perche è stato in Parlamento 15 anni.
Marini e Rodotà hanno entrambi ottanta anni.
Rodotà è stato, su indicazione del Governo Prodi, dal 1997 al 2005, Presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali ed ultimamente ha assunto posizione sull’accesso libero ad internet e sul diritto all’eutanasia.
Lasciatici i rappresentanti di SEL con alcuni tra loro che non condividono l’abbandono e la rottura, ma che disciplinatamente seguono il loro Capo, si passa al voto.
I risultati sono palesi: poco meno di una trentina di astenuti. Circa ottanta voti contrari e oltre duecentoventi favorevoli a Franco Marini. Alcuni di quelli che votano contro Marini, ammettono candidamente di non sapere nemmeno chi è, si giustificano con gli sms, le mail e le richieste della propria base elettorale.
Verso le 22 lasciamo il Teatro Capranica con l’indicazione di votare domattina Franco Marini.
Qui si realizza il primo grande errore del PD. La segreteria non conosce molti parlamentari e non intuisce che domani sarà un massacro. Si doveva suggerire di votare scheda bianca e nel frattempo discutere e convincere i parlamentari.
Invece tutt’altro. Anzi alcuni di noi, compreso qualche pugliese, dichiarano già in serata di non votare Marini e se ne vantano, adducendo che rispondono al loro popolo, quasi che il mio contasse meno.
La mia posta elettronicadella Camera è inondata da migliaia di mail, quasi tutte identiche, con le quali mi si invita a votare Rodotà. Fuori dal Teatro cento persone gridano ‘Rodotà, Rodotà’, quasi fossimo allo stadio.
Vado in diretta alla trasmissione ‘Porta a Porta’ e dignitosamente spiego quanto è successo. Annuncio il mio voto all’indicazione di Bersani. Con me è un Deputato PD calabrese che in sintesi dice che non voterà Marini, perché Matteo non vuole.
Grande buon motivo: Matteo non vuole. Da Firenze l’amico Matteo da suggerimenti contro la segreteria Bersani e contro la maggioranza del partito.
A notte fonda vedo Franco Marini, visibilmente commosso che mi ringrazia per le affermazioni di stima ed amicizia fatte da me pubblicamente e con tranquillità dice: ‘Sia fatta la volontà del Signore’. Ci lasciamo dopo un caloroso e sincero abbraccio.
18 APRILE
La mattina ai colleghi del centrodestra che mi chiedono come finirà, preannuncio che purtroppo Marini non sarà eletto perché nel Gruppo Pd avverto ed ascolto troppi dissensi. Addirittura la portavoce di Bersani on. Alessandra Moretti dichiara che si astiene, i segretari regionali della Puglia, dell’Emilia e della Liguria invitano i propri Deputati a non votare Marini. Il sindaco di Bari Michele Emiliano, coerentemente con quanto va dicendo dal giorno dopo le elezioni, propone di votare Rodotà.
Una chicca: a me Sergio Blasi non ha il coraggio di inviare la mail…lo avesse fatto gli avrei risposto. A modo mio. Civilmente, gli avrei insegnato le regole della democrazia che conosce solo quando vanno nella direzione sua.
Purtroppo ho ragione e così è. Si registra un alto numero di schede che non riportano il nome di Franco Marini, che però supera la soglia necessaria per la elezione alla quarta votazione, la maggioranza semplice.
Mi sento io franco tiratore per aver votato Marini, considerato che in duecento della maggioranza non lo hanno votato: SEL e amici di Renzi apertamente, altri ancora subdolamente. Anche la senatrice Pezzopane, che ha preso il posto di Marini al Senato e la portavoce di Bersani, on. Moretti dichiarano di non aver votato Marini. Absit iniuria verbis.
Svelo una netta sensazione mia. La reazione scomposta di molti all’indicazione di Franco Marini, identica a quella che io avrei avuto se l’indicazione avesse riguardato Almirante o Mussolini, forse è la consapevole o inconsapevole reazione di chi ritiene che gli venga indicato un nome di un partito avversario.
Questa considerazione apre enormi problemi, forse ultimamente solo sopiti nel Pd.
Quale partito il nostro? Un partito di sinistra o un partito di centrosinistra? Un partito riformista? Oppure un partito socialista? Un partito ad identità plurale, oppure un partito da neocentralismo democratico? Quale sfida sull’Europa e quale ruolo per il PD? Il ruolo della testimonianza o quello della governabilità? Un partito di lotta e protesta, oppure un partito di proposta? Un partito mezzo o un partito fine?
Sono tutti interrogativi cui risponderà il congresso nazionale del PD.
Molti degli interlocutori di queste riflessioni, durante le concitate fasi dell’elezione hanno dialogato con me, via sms o via mail. Ovviamente nella capacità di sintesi delle risposte, avranno capito come la pensavo.
Qui aggiungo qualche breve nota.
Viviamo in una democrazia indiretta, non nell’agorà. Gli elettori devono anche fidarsi degli eletti. Chi mi conosce sa bene che non avrei mai votato persona di basso profilo. Ed ancora…nei tanti sms di suggerimento pochi hanno proposto lo stesso nome a dimostrazione della variegata rappresentatività del nostro partito, ma anche della difficoltà di esaudire la volontà di tutti.
Forse il problema più serio che si apre è un altro: tutta questa partecipazione all’indicazione lascia presagire la volontà del popolo italiano di passare all’elezione diretta del Presidente della Repubblica, proposta da Bettino Craxi negli anni ottanta.
Tema sul quale occorre una riflessione seria che da un lato contempli la giusta volontà di non delegare la scelta, dall’altro valuti il pericolo individuato alla Costituente della demagogia, del populismo e del qualunquismo cui bisogna aggiungere, di questi tempi, il rischio di un’elezione che più che ai contenuti si basi sull’emotività degli sms, di twitter o della rete.
19 APRILE
Venerdì mattina, dopo l’Ufficio di Presidenza del Gruppo PD tenutosi alle sette di mattina, prendete nota dell’orario, alle otto, di nuovo al Capranica: assemblea grandi elettori PD con Bersani, visibilmente intristito dal risultato insoddisfacente per Marini. Bersani sottolinea come uno su quattro dell’intero Gruppo PD non ha votato Marini.
Si cambia strategia e dopo un giro di consultazioni con gli altri partiti, il candidato del Pd diventa Romano Prodi. Appena Bersani ne fa il nome, un applauso cronometrato di quaranta secondi sancisce la fine della discussione. Il capogruppo al Senato Luigi Zanda chiede il voto e tutti alzano il braccio. Qui termina la scelta di Prodi, ma anche il suo cammino verso il Quirinale.
La mattina di venerdì 19 aprile votiamo scheda bianca, il pomeriggio, alla quarta votazione, quando il quorum è la maggioranza semplice, votiamo Romano Prodi.
Un altro massacro, nonostante i voti di SEL e di alcuni di Scelta Civica. Prodi non raggiunge la maggioranza semplice. Immediatamente dopo, Matteo Renzi, quasi un oracolo, dichiara da Firenze che la candidatura di Prodi e’ superata.
In Transatlantico si apre la caccia ai franchi tiratori: sospettati i parlamentari di SEL che però hanno scritto R. Prodi, il blocco dalemiano e molti ex popolari, tra cui moltissimi hanno fotografato col telefonino la scheda temendo di essere accusati di aver vendicato Marini.
Resta il dubbio: certo è che mancano circa 110 voti e sono veramente troppi.
Nel Gruppo PD si continua a registrare aperto dissenso di molti che dichiarano di dover rispondere solo al popolo delle primarie e non alle indicazioni del PD che pure li ha eletti ed ha scelto il candidato alla Presidenza della Repubblica apertamente con votazioni libere.
Qui si apre un altro problema.
Berlusconi riesce a far votare i suoi parlamentari sulla parentela tra Rubi e Mubarak, noi, molto più bravi che scegliamo i nostri eletti con le primarie, votiamo democraticamente per scegliere il nostro candidato alla Presidenza, poi nel segreto dell’urna tradiamo.
Le politiche del 2013 hanno prodotto un grande rinnovamento dei Gruppi parlamentari, ma non hanno portato in parlamento dirigenti formati da confronto, battaglie, discussioni e con mentalità aperta al mondo. Un giovanilismo senza saggezza.
20 APRILE
Sabato 20 aprile è il mio compleanno, ma anche quello di Massimo D’Alema e purtroppo anche quello di Hitler. La compagnia è variegata ed articolata, come il mondo, ma io mi difendo bene nella triade.
A Roma splende un gran bel sole, come da giorni. L’indicazione di voto per la quinta votazione è scheda bianca. In mattinata ci potrebbero essere sviluppi. Le ore non passano mai, gli sms e le mail continuano ad inondarci.
Alcuni democratici sono innamorati di Rodotà, forse perché non ne conoscono le posizioni e forse perchè così dice la loro ‘base’.
Con altri colleghi Deputati facciamo un giro su via del Corso e spacciandoci per sondaggisti chiediamo un nome per il Quirinale. La risposta più comune è diversa da quella che ci attendiamo e riguarda la necessità di fare subito il Governo ed affrontare il problema maggiore degli italiani: la disoccupazione. Poi notiamo un gruppo di fans di Cinque Stelle, ci avviciniamo e fingendoci sempre sondaggisti chiediamo notizie su Rodotà. Le risposte sono di ogni tipo e lasciano rabbrividire. C’è qualcuno che parla di un grande scienziato, qualche altro di un famoso medico, altri non sanno che Rodotà è stato parlamentare e vicepresidente della Camera, altri ancora non sanno che è stato Presidente dei DS, altri tratteggiano tratti identitari esatti.
Al Colle salgono Bersani, Berlusconi, Maroni e i Presidenti di Regione. Tutti a chiedere, separatamente, a Napolitano di essere disponibile per una riconferma.
Le ore non passano mai.
All’ora di pranzo convochiamo i grandi elettori PD per le 14, questa volta nell’Auletta della Camera di via Campo Marzio. Ragioni di sicurezza, Montecitorio è circondato dai ‘grillini’ che gridano e reclamano Rodotà. Con loro ci sono i fans di Forza Nuova e poche bandiere dei Comunisti Italiani, riesumate da armadi pieni di polvere e prive di voti.
Parla Bersani e dice che Napolitano ha accettato la riconferma. Poi legge un comunicato del Colle nel quale si afferma che Napolitano ha accolto l’invito delle forze politiche ad accettare la riconferma nella consapevolezza del difficile momento politico.
Capiamo subito che Napolitano ha chiesto ed ottenuto ai partiti che gli hanno offerto la ricandidatura un comportamento adeguato alla crisi del Paese.
Bersani aggiunge, finalmente e giustamente, che i Parlamentari devono assumersi la loro responsabilità e non seguire le indicazioni degli sms che ovviamente non possono essere uguali e che non fanno sintesi politica.
Bersani pronuncia il nome di Napolitano e scatta un applauso lungo due minuti e quaranta secondi, anche questo cronometrato. Segue votazione con un contrario (Corradino Mineo) e quattro astenuti tra cui un pugliese (il capolista alla Camera Franco Cassano).
Tutto finito? Magari. Si vota tra pochi minuti in Aula e molti parlamentari si alzano per andar via, quando un Deputato toscano chiede se si è verificata la possibilità di votare Rodotà. E’ sommerso di fischi ed imprecazioni di ogni tipo. Incauto o sprovveduto? Ai posteri l’ardua sentenza.
Alle ore 15 si inizia a votare fino a quando l’applauso liberatorio durante lo spoglio ci dice che Napolitano è stato eletto, nel senso che ha superato 504 voti, la maggioranza assoluta dei votanti.
In realtà così non è, perchè l’applauso scatta al 497^ voto, tanto era atteso.
Giorgio Napolitano è eletto al sesto scrutinio Presidente della Repubblica con 738 voti. Ha ottantasette anni e per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, dopo un Papa che si dimette, si registra un Presidente rieletto. Par condicio con il Vaticano.
Cinque Stelle e Sel hanno votato Rodotà. Pochi i franchi tiratori della vasta area che sostiene Napolitano, tra cui anche almeno un pugliese che nel segreto dell’urna si è astenuto.
Al momento della proclamazione, in Aula tutti applaudono e tutti si alzano in piedi, tranne i Parlamentari di Cinque Stelle. Freddezza nei banchi di Nichy Vendola. Applaude Onofrio Introna visibilmente soddisfatto, poi applaude Arcangelo Sannicandro, seguono gli altri ma con evidente ritardo.
Fuori dal Parlamento è assedio: grida, insulti, striscioni, minacce. Cinque Stelle contesta la elezione del Presidente e parla di golpe. Gravissimo. Oltre duemila poliziotti e carabinieri difendono l’integrità del Parlamento assediato che però non si arrende.
Di cosa saremmo accusati? Di aver eletto Napolitano. Qualcuno aveva deciso diversamente.
A mezzanotte il Parlamento è ancora difeso dalle Forze dell’Ordine ma le truppe grilline si sono sparpagliate. Il Capo non è arrivato, Rodotà ha detto che in democrazia il Parlamento decide liberamente. Evidentemente un sussulto di dignità anche per lui.
Torno a casa tra cittadini che passeggiano ormai tranquillamente e penso al mio amico Nichy Vendola, Presidente della Regione Puglia. Se non si fosse dimesso avrebbe dovuto non votare Napolitano, lui comunista dalla nascita.
Io, democristiano dalla nascita, ho votato Napolitano.
Napolitano, secondo me, non è più comunista da anni.
Il mondo è cambiato.
Cammino e penso a Togliatti che nel dopoguerra, da Ministro della Giustizia, propose l’amnistia per i fascisti.
Penso a Togliatti che nel 1948 colpito da spari, prima di essere operato invita i suoi alla calma. Penso a Moro che nel 1976 capì che le elezioni le avevano vinte in due, alternativi tra loro ma costretti a convivere nell’interesse dello Stato.
Penso ad un popolo capace di dividersi su tutto. Penso anche alla gravità del momento e all’irresponsabilità di chi ritiene golpe il mio voto. Penso a chi dichiara che il Parlamento non rappresenta gli italiani, quasi che la rappresentanza passa solo dalla propria idea. Penso a 738 parlamentari, come me, che vedono messo in discussione il loro diritto di libero voto.
Penso all’Italia e mi preoccupa la violenza verbale e fisica, come quella che ha portato alle aggressioni di Dario Franceschini e Stefano Fassina, considerati traditori ed insultati per aver votato Napolitano.
Penso alla mia Italia ed immagino che ognuno debba essere libero di esprimere le proprie idee. Penso soprattutto alla necessità che ognuno di noi riconosca il diritto dell’altro.
Penso e continuo a pensare, sperando in un’Italia migliore dove i diritti siano sempre coniugati ai doveri.
Sto quasi addormentandomi, quando penso che non è vero, non è possibile che io sia diventato berlusconiano.
Berlusconiano io? No, non è vero. Io che finita la DC , nel 1994 aderisco al centrosinistra e per vent’anni sono sempre dalla stessa parte, spesso maltrattato e bistrattato anche dai miei colleghi di partito poco propensi alle diversità.
Berlusconiano io? No ero, sono e resto moroteo, capace e disponibile al dialogo. Rispettoso delle idee e della libertà degli altri, ma geloso ed orgoglioso delle sue.
Forse sono soltanto un democratico. Continuerò ad esserlo.
On. Gero Grassi